Ottica adattiva

Risoluzione di un telescopio

Gli astronomi hanno bisogno di telescopi (vedi → Telescopio) grandi per due motivi. Il primo è che con una grande area di raccolta è possibile vedere oggetti molto deboli, che emettono poca luce o che sono molto distanti (vedi → Legge dell’inverso del quadrato). Questo succede anche in natura dove alcuni animali, come i gufi, hanno occhi grandi per vedere bene al buio. Il secondo è che un telescopio di grande diametro ha un potere risolutivo maggiore di quello di un telescopio più piccolo. Il potere risolutivo è la capacità di vedere separatamente due oggetti vicini tra loro (vedi → Risoluzione angolare); si misura in gradi, o arcosecondi (un arcosecondo è 1/3600° di grado, vedi → Secondo (geometria)), o qualsiasi unità di misura di angoli, proprio perché indica la minima separazione angolare tra due sorgenti nel cielo che si vedono separatamente.

Come è fatta l’immagine di una stella vista attraverso un telescopio? In virtù del fenomeno della diffrazione (vedi → Diffrazione) la luce di una stella raccolta da un telescopio viene distribuita sul piano focale in un cerchietto centrale molto brillante e tanti anelli concentrici più deboli, questa figura è conosciuta come disco di Airy (vedi → Disco di Airy). Lo spazio tra gli anelli è buio: perciò possiamo concludere che la risoluzione di un telescopio è la separazione angolare tra il punto luminoso al centro e il primo anello scuro. Due stelle, distanti fra loro più della risoluzione del telescopio, saranno viste come due puntini centrali distinti.

La risoluzione ottica può essere calcolata come rapporto fra la lunghezza d’onda (vedi → Lunghezza d’onda) e il diametro del telescopio:  

Quindi, per un telescopio di 10 metri e una lunghezza d’onda “visibile” di 500 nanometri (vedi → Spettro visibile), si ha che la risoluzione è 0.01 arcsecondi, circa 200 volte quella dell’occhio umano.

Nella figura sottostante esempio di un’immagine prodotta da telescopi con diametri diversi.

Turbolenza ottica

La luce delle sorgenti astrofisiche, siano stelle, pianeti extrasolari, galassie o quasar distanti, ha viaggiato indisturbata per centinaia, migliaia, milioni di anni. Negli ultimi microsecondi di viaggio, quando attraversa l’atmosfera terrestre, il segnale viene perturbato dalle masse d’aria in movimento per via della turbolenza atmosferica e del vento.

Il fronte d’onda (vedi → Fronte d’onda) che era piatto fino al suo arrivo nell’atmosfera viene modificato. L’aria infatti è un elemento ottico al pari di lenti e specchi: ogni cella d’aria, con la sua temperatura, densità, umidità, ha un comportamento ottico (cioè ha un indice di rifrazione, vedi → Indice di rifrazione) diverso da quello delle celle adiacenti. La colonna d’aria sopra un telescopio è formata da moltissime celle, grandi tipicamente 10, 20 cm, originate dai processi di convezione (vedi → Convezione) e turbolenza (vedi → Regime turbolento). Come conseguenza possiamo immaginare il telescopio come costituito da moltissime lenti diverse (le celle d’aria), ciascuna con la risoluzione di un telescopio di 10, 20 cm, ovvero circa 1 arcosecondo, mentre il telescopio come abbiamo visto potrebbe ottenere una risoluzione molto migliore!

Che fare per ripristinare il potere risolutivo originario e sfruttare appieno le capacità di un grande telescopio? Gli astronomi hanno inventato una tecnica chiamata ottica adattiva.

L’anello adattivo

In un sistema di ottica adattiva si utilizza la luce di una sorgente di riferimento (una stella, o il nucleo di una galassia, o un asteroide) per misurare le aberrazioni prodotte dalla turbolenza atmosferica: questo compito è svolto da un sensore di fronte d’onda. Il segnale ottenuto è un errore di forma (rispetto alla “forma piatta”, cioè con nessuna deformazione) e viene inviato ad uno specchio deformabile che produce la deformazione richiesta con il segno invertito. In questo modo, nei limiti delle capacità di misura del sensore e di correzione dello specchio, la deformazione del fronte d’onda luminoso è corretta e il potere risolutivo è ripristinato. Questo avviene in quello che è conosciuto come anello chiuso (vedi → Controllo ad anello chiuso): la misura che è utilizzata per comandare lo specchio deformabile è influenzata dallo specchio deformabile stesso perché è la misura del fronte d’onda ottenuto come somma del fronte d’onda atmosferico e del fronte d’onda dello specchio. In questo modo si crea idealmente un anello chiuso fra misura e comandi dello specchio.

La figura mostra lo schema dell’anello chiuso di ottica adattiva dove il fronte d’onda viene misurato dal sensore di fronte d’onda, le misure, attraverso la logica di controllo, diventano comandi per lo specchio deformabile che corregge il fronte d’onda e così chiude l'”anello”.

Il sensore di fronte d’onda

Il sensore di fronte d’onda più conosciuto è il sensore Shack-Hartmann. Questo sensore si basa sul fatto che l’immagine prodotta nel piano focale (vedi → Piano focale) da una lente viene spostata rispetto all’asse ottico se il fronte d’onda non è piatto e lo spostamento dell’immagine dipende dalla derivata, cioè dall’inclinazione del fronte d’onda. Mettendo insieme tante piccole lenti è così possibile misurare la derivata in molti punti del fronte d’onda: in questo modo si riesce a ricostruire la “forma” del fronte d’onda.

Un altro tipo di sensore è il sensore a piramide. Questo sensore si basa sul principio del test di Foucault (vedi → Foucault knife-edge test), ha una maggiore sensibilità rispetto al sensore di Shack-Hartmann e per questo si sta sempre più diffondendo nei sistemi di ottica adattiva più moderni.

Nella figura lo schema di funzionamento del sensore a piramide come presentato da Roberto Ragazzoni.

Il correttore

Il fronte d’onda misurato dal sensore è poi corretto da un “correttore”, il correttore più comune è lo specchio deformabile (vedi → Specchio deformabile). Questo specchio ha la capacità di cambiare forma. Per ottenere questo gli specchi sono fatti da una membrana di vetro di uno spessore molto ridotto, 1-2 millimetri, ricoperta da un sottile strato di alluminio per renderla riflettente. Questa membrana viene deformata da una serie di attuatori che possono “spingerla” o “tirarla” così da modificare la superficie riflettente. La superficie è modificata in funzione della misura del sensore di fronte d’onda per riprodurre la forma del fronte d’onda così da ottenere il fronte d’onda piatto, o una sua approssimazione, presente nel fascio di luce prima dell’arrivo nell’atmosfera.

Nella figura lo specchio deformabile di LBT “smontato”, in basso la membrana con i magneti degli attuatori, in alto la piastra di riferimento con le bobine degli attuatori.

Il risultato

Sotto il confronto fra le immagini di Nettuno con e senza Ottica Adattiva (credits: www.eso.org)